Tra le possibili alternative da intraprendere dopo la laurea, c’è anche il Dottorato di ricerca. Il Dottorato (o PhD) rappresenta il più alto livello di formazione previsto nell’ordinamento italiano. Sono molti i giovani laureati che decidono di accedervi, dopo aver ponderato per bene la propria scelta. Il Dottorato, infatti, richiede grande impegno e dedizione, trattandosi di un vero e proprio investimento. Ma si tratta davvero di un’opzione conveniente? Cerchiamo di capirlo meglio insieme, grazie ai dati di AlmaLaurea pubblicati da Il Sole 24 Ore.
Il Dottorato: un investimento impegnativo?
Il Dottorato, per chi vi accede (mediante concorso pubblico per titoli ed esami), comporta un investimento di almeno tre anni. Questo tempo è destinato ad acquisire un’autonoma capacità di ricerca scientifica, attraverso cui poi poter poi elaborare prodotti e processi innovativi con creatività e rigore metodologico.
Dottorato di ricerca: i dati di Almalaurea
Ragionando in termini di prospettive occupazionali, il Dottorato rappresenta di certo una valida opzione professionale. L’Indagine 2021 di AlmaLaurea sulla condizione occupazionale dei dottori di ricerca ad un anno dal conseguimento della laurea mostra, infatti, un tasso di occupazione pari all’88,1%. Un valore nettamente superiore rispetto all’equivalente dei laureati di secondo livello (che si attestano intorno al 68,1% dopo un anno). I maggiori tassi di occupazione sono, inoltre, ottenuti da chi proviene dalle facoltà di ingegneria (90,7%).
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Contratti e retribuzione
Per quanto riguarda le tipologie contrattuali e lavorative, riscontrate tra i neo-dottori, troviamo principalmente contratti a tempo determinato o assegni di ricerca. La retribuzione mensile netta dei dottori di ricerca occupati a tempo pieno, invece, ad un anno dal conseguimento del titolo di studio, è mediamente pari a 1.728 euro, un valore più elevato rispetto a quanto osservato tra i laureati di secondo livello sia ad un anno (1.364 euro) sia a cinque anni (1.556 euro).
Dottorato: il rovescio della medaglia
Insomma, il Dottorato sembra costituire un netto vantaggio occupazionale, oltre a concorrere ad una generale soddisfazione lavorativa. Ma ha anche il suo rovescio della medaglia. L’ultima Indagine di ADI, infatti, allerta sulla precarietà dello stesso e sul forte tasso di espulsione dal mondo accademico in Italia. Nel 27% dei casi, infatti, alla scadenza dell’assegno o del Dottorato, segue un periodo di disoccupazione. Inoltre, il 53% degli assegnisti dichiara di lavorare più di 40 ore settimanali, alle quali si aggiungono attività di docenza anche a titolo gratuito.