Università decisamente da incubo, il primo anno di studi mette a dura prova le matricole, tanto che sale il numero degli abbandoni nei primi 12 mesi.
E i laureati, in Italia, rischiano di essere sempre meno. Rispetto agli anni che hanno preceduto la pandemia, infatti, si registra un’impennata di abbandoni da parte dei nuovi iscritti. Nell’anno accademico 2021-2022 il 7,3% degli studenti ha gettato la spugna (7,4% maschi e 7,2% donne) rispetto al 6,1% degli abbandoni segnalati dagli atenei nell’anno 2019-2020. Abbandoni che per di più riguardano soprattutto le discipline scientifiche. Il dato, riportato dalle statistiche del ministero dell’istruzione e del merito, è preoccupante anche perché va ad aggravare la percentuale di laureati ancora troppo bassa, rispetto al resto d’Europa: in Italia è laureato un cittadino su 5, nella fascia di età tra i 25 e i 64 anni, contro una media europea di uno su tre. Con la Spagna e la Francia che arrivano al 40% di laureati. Peggio dell’Italia, infatti, c’è solo la Romania con il 18% di laureati, mentre al primo posto si piazzano gli irlandesi, che conquistano il diploma di laurea nel 52% dei casi. Questa distanza va recuperata quanto prima visto che l’obiettivo di Lisbona pone l’asticella al 40% di laureati.
CRISI UNIVERSITA’: OBIETTIVO LONTANO
Ma sarà difficile raggiungere questa meta visto che sale il numero dei nuovi iscritti che lasciano addirittura prima della fine del primo anno. Che cosa sta accadendo negli atenei, tanto da mettere in fuga sempre più matricole? Il periodo della pandemia ha sicuramente avuto il suo peso: per le lezioni universitarie a distanza, che hanno creato disagi soprattutto per i ragazzi del primo anno meno esperti a cui avrebbe invece giovato vivere l’ambiente accademico. Allo stesso modo può aver inciso il fatto che le matricole hanno scelto il loro percorso di studi nel periodo del lockdown, senza poter partecipare a giornate di orientamento e agli open day. La scelta della facoltà, quindi, potrebbe non aver avuto basi solide.
Fonti del ministero dell’istruzione e del merito spiegano inoltre che le matricole, che hanno lasciato gli studi durante il primo anno, non lo hanno fatto per iscriversi ad un corso diverso. Quindi non si tratta di aver sbagliato indirizzo ma di aver intrapreso il percorso universitario per poi pentirsi. Un problema di orientamento. Sta di fatto che gli studenti sono demotivati e alle prese con i costi della vita universitaria troppo alti.
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La crisi dell’Università: LE CAUSE
«I motivi sono molteplici – spiegano Camilla Piredda e Simone Argutoli dell’Udu, l’Unione degli universitari – la mancanza di programmi di orientamento e di tutorato, l’assenza di supporto psicologico, un ambiente universitario che non sempre risulta così attrattivo, difficoltà economiche e la mancanza di prospettiva lavorativa. Un esempio tra tutti: in molte regioni italiane, se uno studente al primo anno decide di cambiare corso di studio, non potrà più avere la borsa di studio per gli anni successivi. Tutti questi elementi contribuiscono a creare demotivazione, ansia, frustrazione». Alla base quindi potrebbe esserci proprio la difficoltà a intraprendere il corso universitario, legate ai costi e all’ansia di non andare avanti. Su questo la ministra all’università e ricerca, Anna Maria Bernini, ha assicurato di voler agire su più fronti: cercando di reperire il maggior numero possibile di alloggi disponibili coinvolgendo gli enti pubblici con gli edifici dismessi ma anche i privati, e aumentando le borse di studio.
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I NUMERI
Scorrendo i dati del ministero dell’istruzione sulle immatricolazioni per ambito, perdono iscritti i corsi di area scientifica e di ingegneria, anche l’ambito linguistico. Scende, quindi, il numero dei futuri laureati nelle discipline cosiddette Stem, vale a dire scienze, tecnica, ingegneria e matematica. Proprio lì dove è necessario incrementare il numero degli studenti. Nel report degli studenti «Chiedimi come sto» emerge inoltre che la decisione di abbandonare gli studi viene riscontrata con maggiore incidenza per gli studenti di facoltà scientifico-tecnologico, pari al 34,8%.