Qualche settimana fa avevamo scritto dei pericoli che la DAD potenzialmente ha portato con se… a lanciare l’emergenza giovani era stato il presidente di AlmaLaurea, dopo alcuni dati emersi sull’ultimo anno accademico. Da una indagine risulta che tra i frequentati dei primi anni, le cosiddette matricole, non ci sia stato tutto questo entusiasmo nello stare in aula. E molti di loro, malgrado una risposta positiva iniziale, hanno preferito seguire da casa per svariati motivi, che vanno dai trasporti, alle abitazioni fino alla comodità casalinga.
Ci scrive in merito una lettera aperta l’organizzazione no profit UNIDAD, che lotta per il mantenimento della DAD come INTEGRAZIONE alla presenza, per tutti gli studenti universitari che NON POSSONO essere in aula per lezioni ed esami, ma che hanno DIRITTO ALLO STUDIO come chiunque altro.
Pubblichiamo integralmente di seguito:
Lettera aperta alla redazione di YOUNIPA da UNIDAD
Immaginate di essere una mamma che, per ragioni di precarietà, ha dovuto riprendere l’Università e, tra famiglia e ricerca di lavoro, fa fatica a frequentare. O un/a caregiver, con lo stress che può portare prendersi cura di una persona a cui si vuole bene e non poter avere la libertà di azione di altri. Ecco, come credete che possano essersi sentiti i membri di queste categorie – ma potremmo nominarne altre, studenti lavoratori, persone con disabilità, fuori sede, pendolari – quando la DAD universitaria è stata accostata a pigrizia e fancazzismo da vari titoli di giornale in maniera a dir poco offensiva? E giù la solita abusata retorica dello studentello gaudente che è divisiva oltre a essere mistificante e un po’ stupida.
Due punti fermi prima di continuare: Unidad nasce per mantenere la didattica a distanza in Università. Mettere nello stesso calderone istituti diversi fra loro non ha senso: le esigenze di studio e di apprendimento di life skills di un adolescente o di un universitario sono molto diverse. Secondo, Unidad non vuole abolire la lezione in presenza – ci mancherebbe altro! Chiediamo invece che venga garantita la didattica integrata, detta anche blended. E questo non certo per stare in pigiama con la canna in mano come in un fumetto di Andrea Pazienza (con tutto il rispetto) ma per il principio sacrosanto del diritto allo studio.
Un tempo non si poteva guardare le lezioni in streaming perché mancava la tecnologia quindi l’unica possibile apertura per chi studiava e non poteva seguire era la modalità da non frequentante. Nella quale però – come è logico non assistendo alle spiegazioni – spesso aumenta il carico di lavoro. Senza contare quegli atenei – esistono – dove il materiale per i non frequentanti è insufficiente o confuso e comunque inadatto per affrontare gli esami. Oggi, nella cosiddetta era fluida, anche l’Università deve adattarsi meglio alla vita fluida di chi la frequenta – e purtroppo non sono più solo diciannovenni che hanno bisogno anche dell’esperienza formativa di socializzazione in facoltà.
La DAD come inclusione
La modalità blended, oltre al semplificare la vita già dura di alcune tipologie di studenti (genitori, caregiver, lavoratori, pendolari, categorie fragili, portatori di handicap…). Sarebbe un grosso aiuto anche per gestire quelle classi enormi che rendono comunque impossibile seguire la lezione e che spesso vengono risolte con un megaschermo in un’altra aula (altro congegno a distanza!). Renderebbe possibile registrare e seguire incastrando le lezioni nei propri impegni. Dare un senso ai soldi spesi dagli atenei per la formazione degli insegnanti all’erogazione tecnologica. Significherebbe anche mettersi al passo con modalità di apprendimento trasversali come quelle degli alunni con DSA. Significherebbe infine seguire professionisti dell’educazione senza spendere le rette esose delle università telematiche. Che spesso non coprono neanche le stesse materie degli atenei non telematici.
In una parola significherebbe inclusione.
La scuola di oggi dovrebbe considerare le diversità di tutti, non livellare tutti a uno standard “normale”. Questo vuol dire inclusione.
Scriviamo dunque oggi perché le nostre ragioni non siano demonizzate e perché non si butti via il bambino con l’acqua sporca a proposito di DAD. Se gli atenei non hanno spazio per le richieste di soggetti fragili, se i giornali ci rispondono con fare canzonatorio che ci piace stare in pigiama, allora l’obiettivo dell’inclusione scolastica, tanto caro alla pedagogia di oggi, non può considerarsi né raggiunto né sfiorato.La DAD integrata è una conquista di civiltà.