Continuano ad infiammarsi le polemiche dopo il video in cui Beppe Grillo prende le difese del figlio Ciro, accusato di violenza sessuale insieme ad altri tre coetanei. I toni e le parole utilizzate appaiono particolarmente gravi, portando alla ribalta il fenomeno del victim blaming.
Victim Blaming: cos’è?
Il victim blaming, o colpevolizzazione della vittima, è quel vile meccanismo per cui, dinnanzi ad un episodio di violenza di genere, la gente sia portata ad attribuire la colpa di quanto accaduto alla vittima. Arrivando così a scagionare, almeno in parte, l’aggressore: unico e solo responsabile del reato.
Leggi anche: “Sono solo complimenti”: il video-denuncia contro il catcalling
Il video
Il fatto che il fondatore di uno dei partiti più importanti del panorama italiano, abbia usato il proprio potere mediatico per squalificare pubblicamente la versione della vittima è allarmante. Grillo sostiene che lo stupro di gruppo, di cui è accusato il figlio, non sia mai avvenuto e che i rapporti siano stati consenzienti. Cita, inoltre, un video che dimostrerebbe l’estraneità dei quattro ragazzi al reato contestatogli, denigrando la versione fornita dalla ragazza. “Al pomeriggio va in kitesurf e dopo 8 giorni fa una denuncia, è strano.” Alle dichiarazioni, risponde la famiglia della vittima: “Il tentativo di fare spettacolo sulla pelle altrui è una farsa ripugnante”.
Victim blaming: perché succede?
Sono diverse le motivazioni che portano spesso le persone ad attribuire la colpa di quanto accaduto alla vittima. Un primo e potente fattore, che confonde e porta a puntare il dito contro la stessa, è il fatto che la denuncia non sia avvenuta immediatamente dopo l’accaduto. Come se esistesse una sorta di scadenza per esser vittima. O ancora, il fatto che si faccia riferimento ad un comportamento antecedente al fatto, giustificandolo come goliardico e “roba tra ragazzi”, sminuendo del tutto l’accaduto.
Il victim blaming nei media
A dar peso alla pratica del victim blaming sono spesso anche i media. Riportando notizie di molestie o violenze in modo inappropriato, il più delle volte finiscono così per influenzare chi legge o guarda le notizie. Descrivere i vestiti indossati dalle vittime di violenza o descrivere l’aggressore come una “brava persona”, rischia di lasciar passare un messaggio ben preciso: la responsabilità non è di chi ha compiuto la violenza.
Victim Blaming: le conseguenze
Il victim blaming, oltre all’ovvia constatazione che sia sbagliato incolpare la parte offesa, porta a quella che viene chiamata vittimizzazione secondaria. Consiste nel far vivere alla vittima un’ulteriore esperienza traumatica, di ulteriore vittimizzazione appunto, non prestandole il sostegno necessario e infierendo con giudizi o domande inappropriate. Da un punto di vista giuridico, la direttiva europea 29 del 2012 istituisce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime dei reati. Tra gli obiettivi della normativa, anche quello di diminuire il rischio di vittimizzazione secondaria, per cui si intendono “danni emotivi o psicologici scaturenti della denuncia del reato subito”.
Una realtà più comprensiva
È chiaro quindi come il victim blaming non sia un fenomeno fine a sé stesso. Forte è il suo impatto sulla salute mentale della vittima, così come sui servizi di sostegno a lei dedicati e a cui ha diritto. Dobbiamo allora lavorare, come società, al fine di disinnescare questo meccanismo tanto invisibile quanto nocivo. A partire dal nucleo familiare e scolastico, migliorando gli aspetti legati alla sfera educativa ed emotiva. Così da creare una realtà più comprensiva capace di tendere la mano alla vittima e non di puntarle il dito.